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Visualizzazione dei post da ottobre, 2012

Canzone per un padre

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Il bagaglio di un semplice   Chi come me è troppo giovane per aver seguito Guccini negli anni '80 ma già abbastanza vecchio per avere potuto prendere parte a un quindici anni di concerti, non ha avuto modo di ascoltare una canzone bellissima e delicata del cantautore modenese. Van Loon viene scritta nel 1987 e inserita nell'album Signora Bovary, un album di affetti e nostalgie (contiene tra l'altro Scirocco che descrive la complessa storia d'amore del suo amico e poeta Spatola e Culodritto , dedicato alla testardagine della figlia Teresa). Hendrik Willem Van Loon era un tuttologo olandese naturalizzato statunitense, divenuto famoso negli anni '50 per i suoi libri di divulgazione scientifica e umanistica (in italiano è stato tradotto La storia dell'umanità ). I suoi testi erano rivolti soprattutto a un pubblico di giovanissimi. Le origini e il sottotesto di questa canzone vengono spiegati in queste parole dello stesso Guccini:       " '

...che lavoro non ce n'è

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Io e te Capita molto spesso di identificare un cantante con un suo grande successo: Gloria Gaynor con I will survive , Ferradini con Teorema , Claudio Lolli con Ho visto anche degli zingari felici , etc... o con più di una canzone che li rappresenta se l'autore ha lasciato più di un segno indelebile nel panorama musicale italiano. Vincenzo Jannacci (classe '35) movimenta la scena musicale e cabarettistica italiana dai primi anni '50, quando iniziò a suonare e cantare rock'n' roll nel club del molleggiato insieme a quelli che saranno poi gli amici di sempre:  Gaber e Tenco. Nonostante la mole di lavoro prodotto in quasi 60 anni di carriera, quando si sente nominare Jannacci le prime canzoni che vengono in mente sono quelle del teatro-canzone (molto caro anche al signor G): mi riferisco a Vengo anche io  (diventato un tormentone),  Ho visto un re  (scritta a quattro mani con Dario Fo), Bobo merenda (rispolverata qualche anno fa dalla Banda Bardò), etc...

Raboni il profeta

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Quare tristis Si stanno avvicinando le presidenziali americane, campagne elettorali, programmi dell'ultimo minuto, spettacolari faccia a faccia televisivi... In Italia la situazione è al limite dell'indecenza (nell'intorno destro però...): scandali a livello provinciale, regionale, primarie alle porte, echi e strascichi di calciopoli, chi si deve dimettere? Chi deve restare? Un assordante brusio di parole vuote. Promesse a cui non crede più nessuno. Parole poco eleganti e visto che questo blog è scritto e concepito all'insegna dell'eleganza e dello stile, cerco di raddrizzare il tiro spiegando quale poteva essere una lettura dei nostri tempi in un sonetto di Giovanni Raboni, compagno di vita della già menzionata Patrizia Valduga. Quare tristis Stare coi morti, preferire i morti ai vivi, che indecenza! Acqua passata. Vedo che adesso più nessuno fiata per spiegarci gli osceni rischi e torti dell’ assenza, adesso che è sprofondata la storia

L'ultimo Valzer

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L'amore ai tempi dell'ospizio La tradizione cantautorale italiana pullula di testi di amore. Amori tra adolescenti (alla Moccia per intenderci), amori a distanza e spesso amori sofferti o impossibili (non riesco a togliermi dalla testa in questo momento la storia di Samantha e Andrea narrata da Guccini nel 1994- chi dice che le canzoni più belle appartengano sempre a un passato lontanissimo?).  Non dico sia facile parlare di queste tipologie di amore (parecchie volte con riflessi autobiografici) e scriverci su milioni e milioni di canzoni, perché il rischio di cadere nello scontato o nel banale è altissimo. Ma decidere di cantare  un amore nel quale le intenzioni dello spirito non sono più supportate dal vigore del fisico è una sorta di trasgressione nella quale non si sono cimentati in molti. Bellissima canzone a riguardo (sulla quale forse mi piacerà tornare) è la Donna della sera di Branduardi, dove l'antitesi, la contrapposizione tra la sua donna (dicamocelo u

Un sasso inerte e inamovibile della musica italiana

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Come sassi inerti e inamovibili Ci sono meteore musicali che passano talmente veloci che sembrano non avere il tempo di lasciare il segno. Alcune volte (vedi Mauro Repetto degli 883) tali fugaci apparizioni non ci riempiono l'animo di vuoti incolmabili, altre volte invece resta un profondo rammarico per non averle potute nemmeno sfiorare. E' il caso- per lo meno lo è stato per me- di Giorgio Laneve, cantautore Milanese che nel 1970, con il brano che vi invito qua sotto ad ascoltare Amore dove sei , fa una timida ma lodevole apparizione nel panorama cantautorale italiano che in quel tempo vedeva cominciare a splendere le stelle di De André, Guccini, Venditti, De Gregori, etc... La critica di settore definisce le due canzoni del sue secondo 45 giri ( La leggenda del mare d'argento/Riapri gli occhi, poi )  "due autentiche poesie musicate e interpretate con grazia e professionismo". Lo stile è vicino ai contemporanei francesi  Brassens e Brel, tanto cari allo

Patrizia Valduga, quartina

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L'arte di Patrizia Raramente nella poesia contemporanea, che ha visto la dissacrazione e la rottura con la metrica tradizionale, si riescono a trovare autori che siano in grado di fondere l'endecasillabo e gli schemi della poesia classica (quartina, sonetto, etc...) con un interloquire brillante e moderno. La Valduga è grande maestro in questo e ogni sua quartina (che invito fortissimamente a leggere) è un piccolo gioiello di eleganza e stile, di passione e tecnica. Ne riporto una, sperando che trasmetta a voi quello che a suo tempo trasmise a me. Quartina  Di quel poco che resta di quel fuoco resta l’amore quando non si fa che soffre troppo del suo troppo poco, però profuma di felicità. P.V.

Un virtuosismo lessicale

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"Il burattinaio di parole" Se è vero che l'orecchio attento sa apprezzare un virtuosismo di Chopin o di qualche musicista tecnico contemporaneo, non è sempre vero che la mente ci permette di capire e apprezzare i virtuosismi sulla lingua italiana... e lo sforzo che spesso sta dietro a essi da parte di ingegnosi autori. Vi lascio prima di andare a dormire la seguente frase che Beppe Varaldo sembra avere scritto su Attilio Regolo, insieme all'augurio che riusciate a carpirne la bellezza e (quindi) il segreto: PER I ROMANI SOPPORTO' TROPPO SIN A MORIRE

Nel 1976 Roberto cantava così

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Figlia ...E figlia, figlia, non voglio che tu sia felice, ma sempre "contro", finché ti lasciano la voce; vorranno la foto col sorriso deficiente, diranno: "Non ti agitare, che non serve a niente", e invece tu grida forte, la vita contro la morte. In un momento di generale smarrimento, di idee, di valori, di identità, nel quale l'Italia descritta da Garrone nel suo ultimo film Reality non profuma di iperbole cinematografica, è bello ritrovare le parole di un grande cantautore che antepone alla facile felicità della figlia un'integrità e una coerenza che il mondo circostante sembra sempre voler mettere alla prova. Per chi non la conosce ancora, una canzone che merita sicuramente di essere ascoltata e apprezzata.