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Visualizzazione dei post da novembre, 2012

L'inno dell'endecasillabo sciolto

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Una canzone senza fiato Più volte ho evidenziato come i grandi cantautori del panorama italiano abbiano trovato nell'endecasillabo il metro più adatto per esprimere i loro pensieri, le loro premure, i loro sentimenti: da De André a Vecchioni, da Branduardi a Guccini, etc... La Toscana ha un rapporto privilegiato con questo metro. La Toscana di Dante, di Petrarca e di Marasco da sempre predilige l'endecasillabo per il parlare in versi, sia che si tratti di descrivere un complicato viaggio nell'aldilà sia che si tratti di raccontare il dramma della tracimazione dell'Arno del '66.  Ha compiuto da qualche settimana 60 anni Roberto Benigni, simbolo in tutto il mondo della toscanità più genuina e vera. Personalmente non so se la lettura del sommo poeta e della sua Commedia lo abbia portato a una conversione sulla via di Damasco come avvenne a San Paolo, ma l'ultimo Benigni mi sembra l'eco lontana di quello combattivo, pungente e dissacrante (nel senso

Domenica, Lunedì... e qualche anno ancora

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Canzone delle grasse cosce di pane Mi sembra che fosse il Luglio del 2001, quando un amico mi regalò un pass per la festa medioevale di Monteriggioni. Lo special guest della serata era Angelo Branduardi. In quella cornice suggestiva si è esibito davanti a una manciata di persone in un concerto completamente acustico: chitarra, percussioni e voce.  Ha eseguito moltissime delle sue canzoni più famose: dalla Fiera dell'est a Confessioni di un malandrino , passando per La pulce d'acqua e Vanità di vanità . In quell'occasione presentò anche il brano d'amore Laila, laila che sarebbe poi apparso nell'album Altro e altrove del 2003. Ma di brani d'amore, come riconosce lo stesso Branduardi, non ne ha mai scritti molti, commentando con la solita brillante ironia che "geneticamente a molto capello corrisponde poco testosterone"!  Questo che vi invito ad ascoltare oggi è quindi un'eccezione. Una bellissima eccezione, in più di un senso. E'

Lettere ridicole

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Pessoa e il secolo dell'assurdo Fernando Pessoa nasce a Lisbona nel 1888. E' considerato a ragione uno dei più grandi scrittori del novecento: visionario, d'avanguardia, futurista. Nell'Europa dell' Ulisse di Joyce, de l'uomo senza qualità di Musil, de la coscienza di Zeno di Svevo, si fa anche lui carico della crisi dell'uomo, della sua perdita di certezze e di identità. Crisi di identità che Pessoa amplifica a tal punto da arrivare a scrivere sotto diversi eteronomi:  Alberto Caeiro, Alvaro de Campos e Ricardo Reis, ciascuno con un proprio stile e una personale biografia. Si direbbe quasi una  schizofrenia artistico-letteraria.  Un genio, un precursore dei tempi e un inventore di stili- come dirà lo stesso Vecchioni in un'intervista che potete trovare cliccando  qui - uno scrittore che ha scritto migliaia di cose meravigliose ma che arriva alla fine della sua esistenza e si accorge di non avere scritto mai una lettera d'amore. Da qui il brus

L'Italia degli zingari felici

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Aspettando Lolli I rimpianti sono quelle macchioline che uno si porta dietro per un certo periodo più o meno lungo e che ci lasciano nel tempo dei sottili malumori. Uno di quelli che ancora oggi mi trascino dietro con più  rammarico risale a circa 10 anni fa. L'anno preciso non me lo ricordo. Ero uscito dall'ufficio abbastanza tardi, saranno state le 23:00. L'ufficio era ancora in Via del Capitano e nella contigua piazza del duomo era montato un palco, dove si esibiva "qualcuno". Ci saranno state una trentina di persone, non di più, ad ascoltarlo. Ero troppo lontano per discernere le note, gli accordi e le parole provenienti da là. Stanco e assonnato, prendo una via parallela e mi dirigo verso casa. Il giorno dopo un collega mi rivela che su quel palchetto, davanti a quella manciata di persone, si stava esibendo Claudio Lolli. Lolli, classe '50, emiliano di nascita, è un cantautore impegnato e poliedrico che ha volto il suo sguardo critico

Firenze racconto triste

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L'ironia contro l'alluvione Sono passati poco più di 46 anni dall'alluvione che mise in ginocchio Firenze. Era il 4 Novembre del 1966 quando l'Arno uscì dagli argini, trasformando le strade del centro storico in veri e proprio torrenti d'acqua che si spostavano alla velocità di circa 40,50 Km/h. In realtà l'alluvione causò gravi danni non solo al centro storico di Firenze ma anche ai quartieri periferici di Rovezzano, Peretola, Quaracchi, etc... e ai paesi della provincia di Arezzo e di Pisa (come racconteranno en passant anche i Gatti Mézzi nella canzone Dal Salvini ). Sono stati scritti molti racconti, canzoni, storie e girati molti film dove fa la sua comparsa questo triste evento della storia italiana (uno su tutti La meglio gioventù ), ma quello che vi invito ad ascoltare oggi è una ballata ironica e triste allo stesso tempo di Riccardo Marasco, dove l'autore si fa testimone della vicenda con un piglio beffardo e un sorriso amaro. Ancora una volta

Una storia (ancora) disonesta

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La canzone bucolica Il 15 Settembre 2008 è stato un giorno da dimenticare per la musica italiana e internazionale. Hanno scelto- o chi per loro- di andarsene lo stesso giorno due grandi artisti che hanno mosso i cuori e le coscienze di molte persone.  L'Inghilterra (e il resto del mondo) ha salutato quel giorno il tastierista dei Pink Floyd, Richard Wright, un gruppo che è riuscito nel bene e nel male sempre a far parlare di sé. Dagli anni della psichedelia estrema e visionaria di Syd Barrett, agli album che sono diventati cult generazionali come Wish you were here e The Wall.  La intro di tastiera che apre Shine on you crazy diamond è immortale come la chitarra elettrica di Smoke on the water dei Deep Purple. Mentre milioni di persone erano in lutto per Richard Wright, lo stesso giorno in Italia è scomparso senza fare rumore,  Stefano Rosso, il garzone del fornaio che iniziò  a suonare la chitarra nel retrobottega di un fruttivendolo. Ascolto sempre volentieri le sue

Confessioni di un quasi poeta

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L'endecasillabo nella canzone d'autore In un periodo di dissacrazione della tradizione e smembramento degli schemi, alcuni cantautori in completa controtendenza hanno riportato in auge il metro più caro alla tradizione letteraria italiana: l'endecasillabo. Per alcuni questa parola richiama i versi vaticinanti di dantesca memoria "Nel mezzo del camin di nostra vita..." o il passionale canzoniere di Petrarca e i suoi  sonetti per Laura "Erano i capei d'oro all'aura sparsi". Tuttavia l'endecasillabo con la sua versatilità ritmica e con la sua insita musicalità è stato sfruttato dai cantautori italiani più nostalgici delle tradizioni per regalarci dei capolavori come: Confessioni di un malandrino di Branduardi, L'ultimo spettacolo di Vecchioni, La guerra di Piero di de André, Farewell di Guccini. E ce ne sarebbero ancora di esempi molto suggestivi. Gli endecasillabi sono molto spesso regolari (con accenti di quarta o di sesta) an